Licusati, sabato 11 agosto la rievocazione storica de “I Moti del Cilento”

Spettacolo e Storia si fondono

L’Amministrazione Comunale di Camerota, in collaborazione con l’associazione “Pro Licusati” e la Biblioteca Comunale di Licusati, organizza per sabato 11 agosto, la Rievocazione Storica dei Moti del Cilento, giunta al 190esimo anniversario. Questo il programma: alle ore 18:00 raduno in Piazza Giovanni Paolo II.

18:30 Corteo Storico in costumi d’epoca, preceduto dagli Archibugieri di Cava de’ Tirreni.

19:00 in Chiesa San Marco canto del Te Deum, nota storica-popolare.

20:00 in Piazza San Marco l’epilogo e la decapitazione di Domenico Antonio De Luca.

Dalle 20:30 la serata volge lentamente verso la fine. Si parte con i saluti del Sindaco e dell’Assessore alla Cultura di Camerota, passando dall’intitolazione dell’attuale area mercato in “Piazza 11 agosto 1828” ed arrivando al convegno I Moti del Cilento e la reazione Borbonica, dove interverranno l’avvocato Franco Maldonato e i professori Gerardo Chirichiello e Vincenzo Abramo.

LA STORIA
i moti del Cilento furono un tentativo di insurrezione, promosso nel Cilento nell’estate 1828 da aderenti a società segrete, avente per obiettivo il ripristino della Costituzione del 1820 nel Regno delle Due Sicilie. La notte fra il 27 e il 28 giugno 1828 il Galotti e la banda Capozzoli disarmarono le guardie comunali di Centola costringendole ad accompagnarli nel forte di Palinuro dove gli insorti ritenevano fossero custoditi 1500 fucili, dodici cannoni e abbondanti munizioni; il bottino di Palinuro fu invece di pochi moschetti e scarsa polvere da sparo rovinata dall’umidità. Nonostante il deludente inizio, le forze ribelli ottennero l’adesione di nuovi simpatizzanti dalle varie località del Cilento. Tranne a San Giovanni a Piro, i ribelli furono accolti con entusiasmo in numerose località, soprattutto a Bosco. A Camerota furono raggiunti da un folto gruppo di aderenti guidati dal padre cappuccino Carlo da Celle. Nel frattempo Francesco I, il quale temeva che la rivolta fosse stata organizzata da alcuni fuoriusciti napoletani a Malta con l’obiettivo di una restaurazione murattiana, identificò nel maresciallo Del Carretto, già carbonaro e capo di Stato Maggiore nell’esercito costituzionale di Guglielmo Pepe (ma nel 1828 desideroso di accrescere il proprio prestigio rispetto al rivale Nicola Intonti, moderato ministro di Polizia) il responsabile della repressione. Il 1º luglio 1828 gli insorti, informati che Del Carretto stava marciando contro di loro alla testa di 8.000 soldati, consapevoli della mancanza di risorse necessarie per organizzare la difesa, decisero di rimettere in libertà i prigionieri e di sbandarsi.

EPILOGO
Nonostante la ritirata dei rivoltosi, Del Carretto si comportò à la Manhès, con “nera asprezza”: fece radere a cannonate la cittadina di Bosco, eseguì ventitré condanne a morte ed espose le teste degli insorti giustiziati nelle località della zona. Mentre la maggioranza degli insorti si arrese a Vallo della Lucania il 7 luglio 1828, il resto sì dette alla macchia. Non essendo riuscito a catturare il canonico De Luca, Del Carretto minacciò di radere al suolo Celle di Bulgheria, come aveva già fatto con Bosco. De Luca, per evitare al proprio paese natale una sorte spaventosa, si costituì assieme al nipote Giovanni De Luca, anch’egli sacerdote, e ad altri otto insorti. Dopo processo sommario vennero tutti condannati a morte: gli otto laici fucilati all’alba del 19 luglio 1828, i due religiosi il 24 luglio, dopo che l’arcivescovo di Salerno Camillo Alleva li ebbe scomunicati. Galotti, i Capozzoli e pochi altri riuscirono a fuggire in Corsica. Ritornati nel Cilento l’anno successivo, i Capozzoli vennero arrestati dopo un conflitto a fuoco il 17 giugno 1829 e, dopo un processo sommario, fucilati a Palinuro, davanti a un posto del telegrafo incendiato durante la rivolta, le loro teste mozzate furono portate in mostra nei paesi circostanti. Galotti, che era stato consegnato al Regno delle Due Sicilie da Carlo X di Francia, riuscì a scampare alla pena capitale e a tornare in Francia a causa delle proteste dell’opinione pubblica francese guidate dal marchese de La Fayette, dopo la Rivoluzione di Luglio. La repressione borbonica soffocò momentaneamente il malcontento popolare contro i Borboni, che aveva scatenato i moti nel Cilento e nel Salernitano. Ma dopo un paio di decenni la rivolta si riaccese con i moti nel Cilento del 1848. Infatti altri due fratelli Capozzoli, Luigi e Gaetano, furono attivi successivamente contro i Borboni, prendendo parte ai moti cilentani del 1848: il primo morì il 26 settembre 1849 a seguito di uno scontro a fuoco, mentre il secondo, condannato alla galera, uscirà di prigione solo nel 1860, vedendosi riconoscere un vitalizio dal Regno d’Italia di Vittorio Emanuele II.